Cosa è il campionismo? Possiamo curarlo con il mental training?

Svolgendo le pratiche di mental training mi è spesso capitato di svolgere interventi di allenamento mentale per giovani atleti. E durante queste esperienze sul campo mi sono trovato a gestire un fenomeno comportamentale che è spesso sottovalutato e non sempre viene riconosciuto dagli addetti ai lavori, maestri di sport e/o genitori. Sto parlando appunto del campionismo.

allenatore21

Il “campionismo” è un atteggiamento che riflette ambizioni, più o meno realistiche di successo, gloria e/o eccellenza in ambito sportivo che si riscontra sovente nei giovani atleti.

Il “campionismo” si manifesta con pensieri convinzioni ed azioni in cui l’atleta, bambino e/o adolescente crede di essere già un campione e come tale si atteggia e si comporta. Ciò provoca l’assunzione di atteggiamenti da giovane campione già vissuto ed esperiente, quando a seguito di primi riscontri positivi sul talento del giovane in erba (spesso rinforzato da allenatori o maestri) il ragazzo coltiva la convinzione di essere o diventare un grande campione. A volte queste convinzioni sono supportate solo dal desiderio del ragazzo di diventare un campione, o peggio di un genitore, di far diventare tale il proprio figlio, senza che ve ne siano le reali capacità fisiche, tecniche o tattiche da parte del ragazzo. Come è facile comprendere questi atteggiamenti hanno gravi conseguenze sul piano della carriera del ragazzo ma soprattutto sul piano del benessere fisico, emotivo e socio-relazionale.

Y

Ovviamente occorre distinguere le sane ambizioni di diventare ed essere un bravo atleta, dal “campionismo”.

Quali sono le principali differenze?

  1. Mentre il giovane ambizioso si pone in modo realistico verso le proprie attività sportive, il giovane “affetto” da “campionismo” si mostra atteggiamenti di “arroganza” verso gli altri e “presunzione” sulle sue capacità. Egli è convinto di essere il migliore, si pone con gli altri con supposta supremazia e presunzione di privilegio, anche quando (ammesso che sia giusto farlo) le sue reali capacità non sono sempre all’altezza delle sue aspettative e dei suoi risultati sul campo. Ovviamente ciò si riflette sia sul piano delle relazioni con gli altri, ad esempio i maestri di sport o i compagni di squadra, sia nei confronti di se stessi. Il “giovane campione” convinto di essere già una stella sopravvaluta se stesso e disprezza gli altri che considera al di sotto dei suoi livelli. Spesso molti ragazzi per questo finisco per essere isolati dal contesto sportivo di riferimento.

 

  1. Una seconda differenza fra l’atleta ambizioso e quello che mostra atteggiamenti di “campionismo” riguardano la consapevolezza del proprio modo di essere. Infatti, mentre il giovane atleta capace ed ambizioso è consapevole delle proprie abilità, è in grado di guardare con realismo alle sue prospettive di realizzazione in ambito sportivo ed è probabilmente consapevole dei propri limiti, il che gli permette di vivere più serenamente possibile gli allenamenti e le competizioni, il ragazzo che mostra atteggiamenti di “campionismo”, non è chiaramente consapevole nelle delle sue reali capacità, ne dei suoi limiti e per questo vivrà con molto stress e frustrazione sia gli allenamenti che le gare, dove il confronto con la realtà rischia di essere per lui schiacciante quando i risultati non corrispondono le sue convinzioni.

 

Come detto, ciò che molto spesso aggrava la condizione psicologica del “campionismo” è che questi atteggiamenti vengono supportati o peggio ancora alimentati dai genitori che vedono nel proprio figlio la possibilità di vedere realizzati dei sogni che spesso non sono realizzabili e che appartengono più a loro appunto che non al proprio figlio.

Capita anzi che siano proprio i genitori a far crescere nei ragazzi questa visione di successo rispetto alle gare sportive e supportano i propri figli anche al di là dalle reali possibilità di successo, ignorando di forzare i giovani atleti verso qualcosa che non possono raggiungere.

Parlare del fenomeno “campionismo” è molto importante poiché questo atteggiamento non è fonte di beneficio ma al contrario può essere causa di elevate condizioni di stress e sfociare addirittura in abbandoni sportivi e frustrazione per il giovane atleta. Queste delusioni possono riflettersi sul resto della vita sociale ed affettiva del ragazzo che rischia di introiettare una visione di se poco edificante sul piano dell’autostima e dell’autoefficacia.

Per questo molti interventi di mental trainig sono rivolti al miglioramento delle relazioni interpersonali dei giovani atleti ed al rapporto che essi nutrono nei confronti dello sport e di se stessi. Trasmettere l’idea che lo sport per i giovani è prima di tutto una forma di gioco e divertimento è un aspetto prioritario per far crescere in modo armonico e costruttivo i ragazzi come atleti e come persone, ciò nel rispetto delle loro reali possibilità. Non sempre questo accade dai maestri dello sport e per questo un occhio esperto deve e può intervenire per prevenire e arginare il fenomeno.