L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) non riconosce l’obesità come un vero e proprio disturbo psichiatrico né come una forma conclamata di disturbo alimentare. Tuttavia ne studia l’andamento poiché l’obesità è la fonte di molti disturbi che derivano dal grasso in eccesso.

Il sovrappeso è, infatti, la causa di gravi scompensi organici come disturbi cardiaci e respiratori, ictus cerebrali, diabete mellito ed altre patologie di che colpiscono l’apparato gastrointestinale, ematico e muscolo scheletrico. L’obesità non è dunque considerata come una patologia in sé, ma essa è la fonte di numerose disfunzioni che finiscono per danneggiare gravemente la persona fino a porla a rischio di vita, anche in giovane età.

Se questo è ciò che accade dal punto di vista organico, anche dal punto di vista psicologico la situazione non cambia. Infatti, l’obesità, a differenza di quanto accade per altre forme di comportamento alimentare come l’anoressia e la bulimia, non è riconosciuta come un disturbo psicologico con un suo specifico quadro sintomatico che ne permette l’identificazione diagnostica e la programmazione di un piano di cura.

Eppure l’esperienza diretta di chi lavora con soggetti obesi preoccupandosi della loro salute fisica rileva, nei soggetti in sovrappeso, la presenza di numerosi sintomi e scompensi anche dal punto di vista psicologico oltre che dal punto di vista nutrizionale.

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È frequente, infatti, riscontrare nel profilo psicologico degli obesi, sintomi di tipo affettivo, come gravi forme di depressione, ansia e fobie di vario genere che si riflettono sul piano delle relazioni interpersonali e si ripercuotono sul comportamento alimentare della persona stessa. Molto spesso infatti l’obeso utilizza il cibo per “compensare” il disagio affettivo che vive profondamente e senza cognizione di causa con atteggiamenti alimentari di tipo compulsivo che lo portano ad alimentarsi a dismisura, cioè oltre il naturale bisogno di nutrimento giornaliero di una persona.

Questa complessa serie di sintomi affettivi, pur non delineando un quadro psicopatologico definito per l’obesità, ci permettono tuttavia di rilevare che gli obesi esprimono attraverso un comportamento alimentare compulsivo, profonde sofferenze psicologiche ovvero affettive e relazionali.

A rendere nebuloso e difficile il riconoscimento del proprio disagio affettivo interviene inoltre l’aspetto edonistico, goliardico e conviviale che il cibo provoca nei consumatori compulsivi di alimenti. La golosità ed il piacere verso il cibo rende, infatti, difficile l’accettazione della gravità che l’eccesso di peso comporta per la salute.

Per tale ragione ogni forma di intervento curativo finalizzato al miglioramento della qualità della vita nutrizionale dell’obeso deve essere a mio avviso supportato da un intervento psicologico finalizzato al supporto della sfera affettiva dell’individuo. Poiché solo esplorando gli aspetti emotivi connessi al consumo eccessivo di cibo, l’obeso può trovare lo stimolo a migliorare il proprio approccio al nutrimento ed al proprio benessere personale.

In tal senso nella mia esperienza clinica, in collaborazione con esperti nutrizionisti, utilizzo il piccolo gruppo clinico come strumento privilegiato per il trattamento delle terapie nutrizionali degli obesi, poiché tale strumento possiede le caratteristiche affettive e relazionali che facilitano il supporto della persona che incontra difficoltà a proseguire la dieta, gestire il peso corporeo ed assumere uno stile di vita sano.

Inoltre, dal confronto e dalla condivisione di problematiche analoghe, le persone che compongono il gruppo di sostengo, trovano gli stimoli necessari e le strategie comportamentali più adeguate per prendersi cura di sé avendo come obbiettivo il proprio benessere generale.